Le conseguenze del discorso di Jimmy Carter: degiudeizzazione e unicità della distruzione degli ebrei
Almeno due sono le conseguenze del discorso di Jimmy Carter. Iniziano, infatti, ad affermarsi i concetti di degiudeizzazione e unicità della distruzione degli ebrei. Se, da un lato, il termine olocausto sembra degiudaizzarsi e americanizzarsi, dall’altro, proprio nel momento in cui col termine si connota anche lo sterminio di altre vittime del nazismo, si istituzionalizza (il discorso (del)l’unicità e dell’universalità dello sterminio degli ebrei, meglio della sua paragonabilità/confrontabilità con gli altri genocidi e la sua eccezionalità rispetto agli altri. Ad esempio, Daniel Levy e Natan Sznaider elaborano il concetto di cosmopolitizzazione dell’olocausto (The Institutionalization of Cosmopolitan Morality) nel 2004. Portano cioè l’olocausto a paradigma simbolico di tutti i genocidi. “Kosovocaust” è l’espressione che coniano apposta per indicare la crisi balcanica scoppiata tra il 1998 e il 1999. Il neo lemma reca con sé l’inviolabilità dei diritti umani.
Daniel Levy e Natan Sznaider proseguono negli anni 2000 il dibattito sull’unicità dell’olocausto inaugurata da Yehuda Bauer in Whose the Holocaust? Sul tema ritorna Michael Berenbaum nel 1981, quando pubblica su “American Journal of Theology & Philosophy” l’articolo The Uniqueness and Universality of the Holocaust, in italiano: Unicità e universalità dell’olocausto.
L’unicità della distruzione degli ebrei d’Europa, e quindi il conseguente confronto con gli altri genocidi, si nota nella formazione lessicale di originali espressioni. Nello specifico si tratta della combinazione del lemma-desinenza “Holocaust” con il prefisso iniziale che indica il luogo di perpetrazione del genocidio. Per esempio, “Rwandan Holocaust” che designa il genocidio perpetrato in Ruanda nel 1994, o il già accennato Kosovocaust.
Dal 6 aprile al 16 luglio 1994 si compie in Ruanda il genocidio dei tutsi e degli hutu moderati, per mano dell’esercito regolare e degli interahamwe, milizie paramilitari. Il movente ideologico fondamentale è l’odio razziale verso la minoranza tutsi, che aveva costituito l’élite sociale e culturale del Paese. In soli 100 giorni perdono la vita circa un milione di persone, uccise soprattutto con machete, asce, lance, mazze. Lo sterminio termina con la vittoria militare del Fpr, Fronte patriottico ruandese, espressione della diaspora tutsi.
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Approfondimenti
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