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Il Talmud

 

Il testo che segue, estratto dal volume di Luciana Pepi, Una sapienza straniera. Filosofia ed ebraismo nel medioevo, indica come interpretare nella chiave più appropriata il contesto in cui ebbe origine il Talmud, grazie anche a citazioni da saggi sull'argomento pubblicati da altri autori.

 

Hanukkiyyah_Foto Francesco BonannoIl termine talmud (dalla radice l m d studiare) letteralmente significa studio, dottrina. Esistono due redazioni del Talmud: quello di Gerusalemme terminato sul finire del IV sec. e.v., e quello di Babilonia (scuola di Sura), più ampio ed articolato, terminato nel VI sec. e.v. Il Talmud, come d’altra parte la Mishnah, di cui è ampliamento e approfondimento, è un testo molto vario e complesso che contiene: riflessioni morali, filosofiche, racconti, leggende, osservazioni scientifiche, norme, discussioni giuridiche, temi religiosi (dal culto quotidiano ai rapporti umani), esegesi della Scrittura. Di solito viene definito come il principale testo giuridico e normativo e una delle sue caratteristiche è di essere un libro “vivo”, che tenta di riportare e mantenere nella scrittura la vivacità dell’oralità, per cui è costruito sul sistema domanda-risposta. Può essere definito come il rendiconto di un lungo dibattito sui più svariati temi: giuridici, sociali, politici, economici, psicologici, spirituali, al quale hanno partecipato lungo i secoli centinaia di sapienti. È dunque un lavoro collettivo che volutamente riporta su ogni questione, su ogni argomento, tutte le diverse opinioni, ad esempio sono riportate nei minimi dettagli le discussioni tra Maestri e tra Maestri e discepoli, seguendo sempre il principio secondo il quale nessuna opinione è superiore alle altre. Nel Talmud, infatti, si esplicita in modo emblematico il compito della tradizione: tenere insieme le contraddizioni, mettere accanto tesi opposte; in esso non vige il principio di non contraddizione, anzi si insiste sull’importanza della coesistenza delle contraddizioni. Significativo il nome che si usa nella tradizione ebraica per designare il Talmud: yam ha talmud, letteralmente “il mare del Talmud”, sia per indicare la sua immensa vastità, sia per sottolineare che come nel mare vi sono diverse e opposte correnti, acque che affluiscono da svariate sorgenti, così nel Talmud. Esso appare come un’antologia del subconscio ebraico che guarda sì alla Bibbia come fonte di ispirazione continua, ma con quel suo caratteristico metodo analogico e interrogativo che ricorre ai più vari espedienti interpretativi, a capovolgimenti di epoche e di episodi sulla base di un principio ermeneutico che indica che nella Torah non c’è un prima, né un dopo.1
 
Gli antichi pensatori ebrei hanno certamente dato vita a una straordinaria sapienza, solida, viva e ricca.
Scrive Gabriel Levi:

 

[…] Si dice che il Talmud è una grande prova di pensiero democratico […] si discute […]. Nel Talmud ci sono centinaia di migliaia di pensieri e di opinioni, il pensiero talmudico è un pensiero dialettico […]. A queste complesse e a volte contraddittorie discussioni sottende sempre una rigorosa logica. Esiste, infatti, una logica specifica del pensiero talmudico.2

 

Osserva Amedeo Spagnoletto:

 

Iniziamo con l’immaginare un grande spazio […] nella fertile pianura della Mesopotamia, tante file di allievi e rabbini, ma anche di persone semplici rivolte con lo sguardo al capo dell’accademia che siede di fronte e come un maestro d’orchestra definisce il ritmo dello studio. L’attenzione è concentrata su un testo, la Mishnah, prima elaborazione scritta di una tradizione tramandata oralmente fino al II secolo […]. La voce chiara dell’esperto, il tannà, che a memoria scandisce il brano del trattato da studiare e discutere […]. Altri maestri arricchiscono il dibattito introducendo le altre tradizioni orali imparate tra i muri delle loro scuole. Prende il via una discussione animata dove trovano naturale spazio il dissenso, la contraddizione e l’accurata analisi delle fonti, la cui trasmissione viene passata al setaccio della logica, dell’autorevolezza, della correttezza linguistica, dell’armonia con il resto del sistema giuridico. Un percorso di apprendimento aperto, che solo qualche volta giunge alla sintesi […] alla base di tutto questo la Torà, che è all’origine di ogni cosa, […] come tramanda un insegnamento rabbinico condizione necessaria perché il mondo si regga e non ripiombi nel caos primordiale. Torà […] diventata eredità di Israele che la interpreta, la interroga, ne affina il senso in modo da renderla viva di generazione in generazione […] ecco potremmo dire che il Talmud è il condensato di questo impegno articolato e condiviso che si estende per un periodo di quasi trecento anni, geograficamente inserito tra la terra di Israele e le coste del Mediterraneo a ovest fino alle rive del Tigri […] la doppia lingua – ebraico ed aramaico – del Talmud è uno dei segni tangibili delle interconnessioni di questo “testo senza fine” e del ponte gettato tra Israele e Babilonia […] Il lessico utilizzato dal Talmud è il risultato di una sintesi delle tante civiltà con le quali il mondo ebraico è venuto in contatto […].3

 

Il Talmud è un’impareggiabile ginnastica mentale, oltre che il “manuale” di riferimento della vita e della religione. Infatti lo studio della Torah è il precetto più importante, l’ebreo deve studiarla sempre, giorno e notte. Anche per questo motivo Israele è chiamato il popolo del Libro. Il Talmud nasce da questo continuo ed esigente studio, che assume numerosi significati: è indagine scrupolosa, ricerca appassionata, meditazione della Torah, considerata come fonte prima di insegnamento, come regola di vita. È stato definito un monumento gigantesco e di faticoso accesso, la cui comprensione è, infatti, molto difficile. Si abita il Talmud come si abita una dimora paterna. È una patria di cui è difficile capire la lingua e i segreti.4 Abraham Jehoshua Heschel racconta: «Un rabbino un giorno iniziò a studiare uno dei molti volumi del Talmud. Passavano i giorni, e i suoi discepoli, perplessi, lo vedevano sempre immerso nella lettura della prima pagina. Pensarono che fosse incappato in un brano di difficile interpretazione e cercasse di risolverlo. Ma quando, giorno dopo giorno, il rabbino era sempre lì, davanti alla stessa pagina, si fecero coraggio e gli chiesero perché non passasse alla pagina seguente. E il rabbino rispose: Sto così bene qui, perché dovrei andare altrove?».5
È doveroso ricordare che il Talmud ha avuto un contatto infelice con il pensiero occidentale, specialmente con il pensiero cristiano e suscitò fin dal Medioevo l’ostilità della Chiesa che ne decretò ripetutamente la condanna al rogo. Scrive Anni Cagiati:

 

Oltre a numerosi vescovi, i papi che con specifiche bolle ordinarono che i Talmudim venissero bruciati, furono: Innocenzo IV nel 1244, Giovanni XXII nel 1320, Alessandro V nel 1409, Eugenio IV nel 1442, Giulio III nel 1553. L’ultimo rogo di Talmudim si ebbe nel 1757 per ordine di un vescovo polacco.6

 

La Chiesa non può bruciare la Torah, perché è stata canonizzata come Antico Testamento, mentre in segno di rottura con la tradizione ebraica, viene bruciato il Talmud.7

 

Note

1 R. Della Rocca, Con lo sguardo alla luna, cit., p. 27.

2 G. Levi, «Il Talmud», cit., p. 30.

3 A. Spagnoletto, Detti e contraddetti del Talmud, Giuntina, Firenze 2016, pp. 11-12.

4 A. Cagiati, Settanta domande sull'ebraismo, cit., p. 23.

5 Ivi, p. 33.

6 Ivi, p. 23.

7 G. Levi, «Il Talmud», cit., p. 31.

 

Approfondimenti

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