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Lo Shema’

 

Il testo che segue, realizzato da Francesco Bonanno, esamina la recita dello Shema' e ne chiarisce il significato in relazione alla letteratura ebraica delle origini. Con questo breve saggio si conclude l'approfondimento, a cui è stato aggiunto un glossario, utile strumento per proseguire nella conoscenza dell'ebraismo.

 

Tra le mizwot di grande rilievo è la recita dello Shema’. Ascolta Israele! Il Signore è il nostro D-o, il Signore è uno. Con queste parole, tratte dal sesto capitolo del libro del Deuteronomio, si apre lo Shema’ (ascolta), la parte centrale, e forse anche tra le più antiche, di tutta la preghiera di Israele. Recitata due volte al giorno, nella preghiera del mattino (šaḥrit) e della sera (ʿarvit), questa doppia lettura fissa dello Šemaʿ è già nota nella Mišnah, alla fine del secondo secolo della nostra era. Benché si chiami Lettura dello Šemaʿ (Qeriat Šemaʿ), questi versetti costituiscono la prima parte di un’unità più ampia, armonica e coerente, formata anche da un secondo brano (tratto dal capitolo 11 dello stesso libro del Deuteronomio) e da un terzo brano, dedicato al precetto delle frange (ṣiṣit), tratto dal capitolo 15 del libro dei Numeri.Pesah_Foto Francesco Bonanno

Nel primo brano, lo Šemaʿ in senso stretto, che costituisce il nucleo più antico e generante della prima unità strutturale della preghiera ebraica, la tradizione vuole che l’uomo prenda su di sé il giogo del regno dei cieli e, dopo di ciò, nel secondo brano anche il giogo dei precetti. Tutto il testo si apre e si chiude con una “cornice” costituita da una serie di benedizioni, che cioè precedono e poi seguono la recita dello Šemaʿ, diverse mattina e sera tanto per numero che per contenuto, ciascuna delle quali ha una funzione propria e il cui contenuto è connesso con le nervature tematiche essenziali dello Šemaʿ, nel contesto della preghiera.

Lo Šemaʿ è una professione di fede, è un piccolo ma fondamentale nucleo, uno tra gli elementi essenziali, indispensabile per definire l’autocomprensione dell’identità ebraica. Non è, in senso formale, una preghiera, né una affermazione teorica del monoteismo. Si tratta piuttosto di un giuramento di fedeltà, di lealtà rivolto a Dio da parte di Israele nella forma della retorica della legge, una sorta di parenesi con valore normativo. Da questa relazione unica, affermata con grande e sintetica efficacia dal versetto 4, aperto dall’imperativo dell’ascolto, deriva il legame dell’amore espresso dal versetto 5. Una dedizione fedele espressa nella triplice direttrice (cuore, anima, forza) in grado di coprire la totalità della vita.

Nello Šemaʿ si dà una traccia letteraria, propria della storia del Deuteronomio, che richiama il contesto storico della storia di Israele, in cui si trovano per un verso le forme particolari in cui in un certo momento si articolò l’esercizio del potere nei confronti dei gruppi soggetti, nelle forme tipiche dell’alleanza, categoria centrale nel Deuteronomio, stipulata mediante dei trattati. Per altro verso troviamo gli elementi tipici della centralizzazione gerosolimitana del culto e insieme una più ampia e organica riforma giuridica, sociale, ma anche religiosa e culturale, nella quale assunse un valore decisivo l’affermazione del legame esclusivo con Dio. Lo stretto rapporto che intercorre tra l’idea di Dio e l’idea di Popolo è un tratto tipico del Deuteronomio, cosicché l’uno si definisce nei suoi caratteri essenziali necessariamente in relazione all’altro. Dio è il Dio di Israele e Israele è il Popolo di Dio. Questa relazione costituisce il motivo centrale dell’alleanza.

Il trattato Berakot del Talmud babilonese, una parte molto rilevante del quale è dedicata alla recita dello Šemaʿ, in una pagina molto nota racconta il martirio di Rabbi Aqiba, messo a morte per aver insegnato in pubblico parole di Torah. Rabbi Aqiba muore recitando lo Šemaʿ e prolungando la parola eḥad (uno), fino all’ultimo respiro.

La prima e l’ultima parola del versetto, rispettivamente Šemaʿ, ascolta, ed eḥad, uno, terminano l’una con la lettera ʿayin e l’altra con la lettera dalet, scritte entrambi con caratteri più grandi delle altre. Queste due lettere formano la parola ʿed, testimone. La recita dello Šemaʿ è memoria dell’impegno di testimonianza e della testimonianza dell’impegno, testimonianza che riassume i principi del proprio impegno, i principi fondamentali dell’ebraismo affermati nello Šemaʿ e diventati vita.

 

Francesco Bonanno

 


Approfondimenti

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