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Mistica e poesia nell’opera di Jalāl ad-Din Rumi

 

Manoscritto persiano su carta, Shiraz, 1479.
 

 

Sergio Foti, nel suo contributo alla rivista Meykhane/Voci e memorie persiane prende in esame alcuni dei motivi della poesia di Rumi (Molavi) in relazione sia al lascito spirituale del sufismo, di cui egli è uno dei rappresentanti più originali, sia alla tradizione poetica persiana, di cui Rumi rappresenta uno degli autori più noti e letti nell’ecumene musulmana. Attraverso le opportune citazioni dall’opera di Rumi, vengono illustrati in particolare il motivo della celebrazione delle origini e quello dell’ascesa e del viaggio mistico, e si esplorano i suoi rapporti con la comunità fondata a Konya e in particolare con l’amico mistico, il misterioso derviscio Shams-e Tabriz, colui che fu al centro della intensa esperienza poetica e della personale teofania sperimentata da Rumi.

 

Per come la vedo io, introdurre e mostrare i caratteri dell’opera di Jalāl ad-Din Rumi di Balkh (1207-1273) significa soprattutto fare un discorso di intersezioni: significa - mentre si propongono i versi di questo grande e singolare poeta - riuscire a toccare piani diversi e indicare linguaggi inusitati. All’attenzione degli appassionati di lettura e di poesia, com’è il caso delle persone qui oggi, questa premessa può sembrare strana. L’espressione poetica autentica - pensiamo - dovrebbe di per sé raggiungere la sensibilità del lettore, svelare spontaneamente le risonanze e i segreti che le sono affidati, senza mediazioni.