Quando il Garuda volò a Occidente

 

Elio Guarisco, Quando il Garuda volò a Occidente. L'esperienza di un discepolo buddhista con un lama tibetano, s.l.: Shang Shung Edizioni, 1994.

 

Scheda del volume

Il volume descrive la prima diffusione del buddhismo tibetano in Italia attraverso i ricordi autobiografici di Elio Guarisco, sfuggito in gioventù alla deriva della lotta politica sfociata poi in violenza alla fine degli anni ’60, per approdare negli stessi anni alla meditazione buddhista nello stile Theravada durante un lungo soggiorno in India. Tornato in Europa, precisamente in Svizzera, Guarisco decise di prendere i voti monacali seguendo gli insegnamenti di Ghesce Rabten, lama tibetano trasferitosi nel monastero di Rikon (Zurigo) nel 1976, dove ricoprì il ruolo di abate fino al 1979.

 

A quel tempo i lama che risiedevano o venivano in Occidente erano inclini a diffondere il Buddhismo in forma monastica perché, essendo monaci formati nei monasteri, lo ritenevano essenziale. Essi provenivano da una cultura medioevale distante secoli dalla nostra e avevano grosse difficoltà a capire la realtà occidentale. In Tibet, a differenza dell’Occidente, i monaci ricevevano l’istruzione migliore. Nei loro insegnamenti i lama sostenevano che il miglior candidato alla liberazione era il monaco. Il laico, considerato un praticante di seconda classe che non aveva speranza di realizzare granché seguendo il Buddhismo, veniva relegato al ruolo di benefattore della comunità monastica, verso la quale dovevano praticare la generosità. I monaci erano i professionisti della via spirituale mentre i laici, tramite atti di liberalità, potevano soltanto creare qualche buona causa per progredire nella vita successiva. Così molti occidentali si fecero monaci. (pp. 68-69)

 

La riflessione appena riportata aiuta a comprendere la scelta dell’autore di divenire monaco, seppur solo in parte, secondo gli insegnamenti e gli obblighi imposti dalla corrente Gelugpa del buddhismo tibetano, la stessa a cui appartiene il Dalai Lama. Grazie all’apprendimento della lingua tibetana e alla adesione alla vita monastica, il rapporto di Elio Guarisco con il suo maestro si consolidò in maniera sempre più forte, così come la conoscenza del pensiero buddhista, di cui imparò a padroneggiare aspetti inerenti all’etica e alla logica, così come alcune delle principali pratiche meditative connesse a divinità che rappresentano aspetti diversi della natura illuminata della mente del Buddha, per approfondire le quali sovente era necessario dedicarsi a ritiri di settimane o mesi.
Il testo rivela aspetti che ampliano in modo rilevante la natura autobiografica del libro. Vi sono infatti molti riferimenti alle attività di alcuni tra i primi centri buddhisti in Italia, soprattutto al Gephel Ling di Milano. Allo stesso modo si possono leggere pagine riferite ai rapporti diretti di Guarisco con maestri tibetani che sono divenuti guide spirituali e animatori di centri di dharma in Italia e in Europa, tra cui lama Yeshe e lama Zopa – ideatori della Fondazione per la Preservazione della Tradizione Mahāyāna (FPMT), a cui si deve la creazione dell’Istituto Lama Tzong Khapa di Pomaia, ancor oggi il più importante e conosciuto centro buddhista in Italia, al pari di altri centri in tutto il mondo –, o la stretta relazione che unì l'autore a Kalu Rinpoche, esponente della scuola Kagyupa.
Elio Guarisco, nel descrivere la vita comunitaria dei monaci buddhisti occidentali raccolti attorno alla figura di Ghesce Rabten nel centro di Rikon, rivela inoltre le trasformazioni di figure cardine del buddhismo europeo e occidentale in genere, come Alan Wallace (fondatore del Santa Barbara Institute for Consciousness Studies e dei Centers for Contemplative Research a Castellina Marittima e a Crestone, Colorado) o Stephen Batchelor (autore di Il Buddhismo senza fede, Confessioni di un ateo buddhista e Dopo il buddhismo. Ripensare il dharma per un'epoca laica) che, in modo diverso e con prospettive peculiari hanno impegnato la loro vita a far conoscere l’insegnamento buddhista tibetano al di fuori del paese delle nevi. La descrizione del loro rapporto con il maestro fornisce una chiara testimonianza della grande libertà che l’insegnamento di questa via esperienziale alla spiritualità concepisce per chi la pratica.
 
Nel vecchio Tibet alcuni maestri si dedicavano a costruire monasteri, templi e istituti vari mentre altri, senza creare chiese o istituzioni, si spostavano continuamente in tenda come i nomadi o vivevano in grotte di montagna. Queste due tendenze hanno una lunga storia. Alcuni pensano che un insegnamento spirituale si conservi meglio dotandolo di strutture, istituzioni, centri o comunità, altri invece pensano che la vitalità e l’essenza dell’insegnamento si conservino meglio senza formare chiese o istituzioni. È difficile rifiutare completamente una tendenza e affermare la validità assoluta dell’altra: certo è che l’Occidente, con la sua tendenza istituzionale, non lascia molto spazio alla seconda. (p. 101)
 
La riflessione sulla sua adeguatezza alla vita monacale contraddistingue l’ultima parte del libro di Guarisco, che termina con il definitivo abbandono dei voti da monaco conseguente alla morte di Ghesce Rabten, nel 1986, e apre le porte a una storia che  è solo accennata nel volume, il rapporto dell’autore con Namkhai Norbu Rinpoche, maestro tibetano giunto in Italia all’inizio degli anni ’60 su invito dell'orientalista Giuseppe Tucci, che divenne docente di lingua tibetana e mongola presso l’Università Orientale di Napoli, dove insegnò per circa trent'anni. In seguito impartì insegnamenti della via della grande perfezione, o Dzogchen, propria della tradizione buddhista tibetana e oggi ben nota anche in Italia soprattutto grazie ai suoi insegnamenti, ai centri fondati nel nostro paese, il più importante dei quali è Merigar, alle pendici del Monte Amiata, e in tutti e cinque i continenti. Luoghi dove gli insegnamenti del maestro, che da pochi anni ha lasciato il corpo, proseguono grazie ai suoi allievi italiani. 
 
In quel periodo mi avvicinai alla Comunità Dzogcen e a Namkhai Norbu Rinpocè. L’occasione si presentò quando Dorzong Rinpocè e Cioghiel Rinpocè, due lama della comunità tibetana di Tashi Jong che avevo conosciuto nei miei viaggi in India, furono invitati a Merigar, la sede della Comunità Dzogcen che si trova in Toscana.
Negli anni precedenti precedenti molti miei amici erano diventati discepoli di Norbu Rinpocè, ed io stesso avevo incontrato quel maestro un paio di volte, la prima con Kalu Rinpocè e la seconda mentre mi trovavo all’Istituto Lama Tsong Khapa di Pomaia a tradurre gli insegnamenti di Rabten Rinpocè.
A quel tempo ero concentrato sullo studio e la mia mente non aveva un vasto orizzonte. Così per lungo tempo non stabilii alcun rapporto con Namkhai Norbu Rinpocè.
Quando incontrai Dorzong Rinpocè e Cioghiel Rinpocè a Merigar, Namkhai Norbu Rinpocè, che mi conosceva per sentito dire, mi chiese di tradurre in italiano i discorsi di Dorzon perché Cioghiel se la cavava da solo con l’inglese.
Qualche mese dopo mi recai in Grecia dove Norbu Rinpocè guidò un ritiro di dieci giorni: così ebbi modo di conoscere meglio il suo insegnamento e di constatare la mia affinità con lo Dzogcen. Ritornato in Italia invitai Norbu Rinpocè a Milano per tre giorni. A quel punto pensai che la Terra delle Dakini, quale polo di aggregazione della gente interessata al Buddhismo,  non dovesse restare isolata. Così con il consenso di Norbu Rinpocè, il nostro gruppo decise di fondersi nella comunità Dzogcen. (pp. 141-142)
 

Commenti del redattore

Per il tema e anche per un richiamo evidente del titolo, l'autobiografia di Elio Guarisco richiama alla mente un libro scritto negli stessi anni da Ayya Khema, al secolo Ilse Kussel, monaca buddhista di tradizione Theravāda di origine ebraica nata in Germania, Quando vola l'aquila di ferro. Un Buddhismo per l'Occidente (1992). Sebbene i contenuti dei due volumi siano molto diversi, è interessante notare una frase riportata nell'aletta anteriore della sovracoperta del libro di Ayya Khema, in cui si legge: "Quando volerà l'aquila di ferro e i cavalli corerranno su ruote, il popolo tibetano sarà disperso per tutto il mondo e il dhamma [dharma] approderà alla terra dell'uomo rosso". Le parole sono attribuite a Padmasambhava che nell'VIII secolo introdusse in Tibet il Buddhismo e anche gli insegnamenti Dzogchen, fino a qualche decennio fa rimasti abbastanza oscuri ai cultori dell'argomento che vivono nella terra dell'uomo rosso, ovvero l'Occidente. Sebbene il dharma buddhista si sia diffuso in Europa a partire dai primi del Novecento, epoca nella quale si riscontrarono i primi casi di adesione al monachesimo buddistha e nacquero le prime associazioni e pubblicazioni legate al Buddhismo, in special modo in Gran Bretagna e Germania, l'Italia è rimasta a lungo esclusa da un simile fenomeno. Anche nel nostro paese, in effetti, vi è stata una fioritura di studi di carattere accademico, che ebbero in alcuni casi ampia risonanza anche nel resto dell'Europa, si pensi ai volumi dell'indologo bolognese Luigi Suali, uno dei quali, L'Illuminato, negli anni Venti fu tradotto in francese, tedesco e inglese, oppure ai più recenti e avventurosi viaggi di studio di Giuseppe Tucci, a cui si è già fatto riferimento, in seguito ai quali venne a formarsi il cospicuo nucleo di oggetti e manoscritti già parte della collezione del Museo Nazionale di Arte Orientale di Roma e dell'IsMEO. Tuttavia, il Buddhismo come fenomeno religioso ha iniziato a crescere solo nella seconda parte del secolo, proprio in concomitanza con la protesta del '68 e con l'apertura della cosiddetta Hippie Trail, la strada (o per meglio dire le strade), che condussero migliaia di giovani a entrare in diretto contatto con l'Asia e le tradizioni spirituali e culturali del continente a est dell'Europa. La concomitante diaspora tibetana in India permise quindi di conoscere direttamente il dharma buddhista tibetano, mentre di pari passo altri giovani conobbero le scuole di dharma giapponesi, tra tutte lo Zen e quelle di tradizione Theravāda, diffuse nel Sud-est asiatico, anche se probabilmente l'adesione a queste ultime appare oggi meno evidente. Il libro di Elio Guarisco, scomparso pochi mesi or sono, ha il grande pregio di fotografare il momento in cui si concretizzarono le prime avvisaglie di quello che oggi è invece un fenomeno diffuso e sfaccettato nel nostro paese. Oltre a essere una lettura accessibile a tutti, dunque, si rivela fondamentale per comprendere come è nato e si è sviluppato il Buddhismo in Italia.
 
 
Scheda a cura di: Luca Villa
Anno pubblicazione: 
1994
Numero di pagine: 
158
Autore: 
Elio Guarisco
Geotags:
Anno Pubblicazione:
1994
Numero di pagine:
158
Autore:
Elio Guarisco
Data Creazione:
Mar, 11/05/2021 - 09:57