Per iniziare l'approfondimento sulla formazione dei testi fondanti dell'ebraismo si propone un brano tratto da Luciana Pepi, Una sapienza straniera. Filosofia ed ebraismo nel medioevo, Officina di Studi Medievali, Palermo 2019.

 

sinagoga Palermo_foto Francesco BonannoIn senso limitato il termine Torah indica il Pentateuco, ma si può estendere a tutta la Bibbia ebraica1 e all’insegnamento che ne deriva, proviene dalla radice y r h che nell’ebraico biblico ha diversi significati, vuol dire: insegnare, ammaestrare, porre le fondamenta, ed anche gettare, lanciare. Torah significa dunque istruzione, insegnamento, dottrina e anche legge. Nella traduzione greca la parola Torah fu resa con nomos, creando le basi per un fraintendimento, la resa in senso strettamente legale del termine, infatti, ne limita e ne deforma il significato; nel nostro linguaggio la parola “legge” è carica di sfumature negative: la legge è giogo costrittivo e limitativo. La Bibbia ebraica è chiamata TaNaCh, l'acronimo di tutte e tre le sezioni che la compongono: Torah, Pentateuco, Nevim, Profeti, e Ketuvim, scritti, Agiografi. Il testo sicuramente più importante tra loro è la Torah, che è la base del rapporto particolare tra un popolo e il suo Dio, e nello stesso tempo regola la vita del singolo e dell'intera comunità. È interessante ricordare che mentre nella civiltà occidentale il così detto Antico Testamento è chiamato “Scrittura”, nella lingua ebraica, in cui è originariamente redatto, è chiamato “lettura” (miqra’),2 proprio perché il testo va letto ad alta voce ed ascoltato.
La Torah comprende in potenza ogni forma del sapere, una significativa massima rabbinica enuncia: «Voltala e rivoltala perché tutto è in essa». Compito dell’essere umano è trarre da essa ogni insegnamento. I filosofi ebrei medievali sottolineano che nella Torah si trovano, in modo nascosto, tutte le scienze: la fisica, l’etica, la politica, la storia, la psicologia, la metafisica. La Torah sia in quanto “insegnamento”, fonte di ogni sapienza, sia in quanto guida che scandisce la quotidianità, consente al popolo ebraico di rimanere uno in mezzo ai molti, ed è, dunque, il perno dell’identità ebraica. Essa racchiude sia tutto il pensiero e la cultura, che tutte le norme che regolano la vita quotidiana. Di conseguenza l’interpretazione ebraica è una difficoltosa ricerca: ricerca dell’essenza nascosta delle parole contenute nel testo e del corretto significato da attribuire loro di volta in volta per metterle correttamente in pratica. Dalla Torah discende la halakà, la “normativa”, che esprime in termini pratici come realizzare le indicazioni della Torah. Così scrive Anni Cagiati: «[...] la Torah è l'insegnamento che Dio dà al suo popolo, è la via privilegiata che conduce a Lui. Essa insegna all'uomo come vivere rettamente. La Torah propone uno stile di vita, non la credenza in determinate dottrine, è anche la storia del popolo ebraico che incarna per tutta l'umanità il difficile cammino dell'uomo verso la Divinità e verso una vita più degna di essere vissuta».3
 
La sua parte normativa comprende, secondo la classificazione tradizionale, seicentotredici norme (mizwot), di cui trecentosessantacinque (come il numero dei giorni dell’anno) sono dei divieti, e duecentoquarantotto (come il numero delle membra dell’uomo) sono precetti positivi.
Precisa Carmine Di Sante: «Prima che particolari contenuti da credere la Torah indica come bisogna camminare e che cosa bisogna fare perché l’esistenza da caos diventi eden e la terra del deserto fiume di “latte e miele”. Di qui l’insistenza sul “fare”, così caro alla tradizione ebraica [...]».4  Puntualizza Riccardo Di Segni:

 

[...] il rapporto di Israele con la Torah si esprime concretamente in una serie di atti, che possono ricollegarsi a uno di questi principi: 1. La Torah va scritta. 2. La Torah va letta. 3. La Torah va studiata. 4. La Torah va messa in pratica [...] Va scritta nel senso che vi è l’obbligo di trascriverla a mano e questo è il compito del sofer (scriba). Va letta pubblicamente e questo si fa in Sinagoga [...]. Il testo viene letto nella versione originale da un cantore specializzato. Ancora più importante è l’obbligo di studiare la Torah. In questo dovere si realizza uno degli elementi distintivi dell’ebraismo [...]. Il rabbino5 ha un importante ruolo in quanto guida in questo studio [...]. La Torah va rispettata ed applicata [...]. Questa è la continuazione coerente di tutte le premesse precedenti: la Torah diventa un programma di vita esteso e minuzioso, che guida ogni momento dell’esistenza [...].6

 

Nell’ottica ebraica, inoltre, la Torah è una inesauribile fonte di profonda gioia. A tal proposito racconta un Midrash:

 

C’era una volta un principe che viveva lontano dal padre, il re, e ne aveva una grande nostalgia. Un giorno il padre gli mandò una lettera piena di amore che lo rese felice. La custodiva come la cosa più preziosa che avesse. Ma più rileggeva la lettera del padre, più aumentava il suo desiderio di rivederlo, di poter baciare la sua mano. Finché un giorno si disse: “ho la lettera scritta da lui, non è forse paragonabile la sua calligrafia alla sua mano?” E da quel momento visse con una grande gioia nel cuore.7

 

La Torah è la lettera d’amore che Dio ha scritto agli esseri umani.

 

Note

1 Cfr. A. Cagiati, Settanta domande sull'ebraismo. Un popolo e la sua storia, Edizioni Messaggero, Padova 1997, p.201.

2 E. Loewenthal, L’ebraismo spiegato ai miei figli, Bompiani, Milano 1999, p. 35.

3 A. Cagiati, Settanta domande sull'ebraismo, cit., p. 17. Cfr. R. Di Segni, «La Torah», in Torah e Filosofia. Percorsi del pensiero ebraico, Giuntina, Firenze 1993, p. 14.

4 Citato in A. Cagiati, Settanta domande sull'ebraismo, cit., p. 20.

5 Rabbino, dalla radice r b h, che indica grande, numeroso, significa maestro, colui che è grande in sapere.

6 R. Di Segni, «La Torah», cit., p. 15.