La crisi dell’Islam politico
La crisi dell’Islam politico, tra Stato civile ed emirato
Dall’Islam politico arrivano segnali contrastanti. Mentre in Afghanistan i Talebani hanno ricreato il loro emirato, i movimenti islamisti del Nord Africa, arrivati al potere in diversi Paesi sulla scia della Primavera araba, sono entrati in una parabola discendente. In Egitto l’esperienza di governo dei Fratelli musulmani è rapidamente naufragata, aprendo la strada al colpo di Stato del generale al-Sisi; in Sudan le rivolte popolari del 2019 hanno decretato la fine del trentennale governo islamista di Omar al-Bashir; in Tunisia il partito Ennahda ha visto calare significativamente i propri consensi ed è stato il bersaglio principale del colpo di forza con cui lo scorso luglio il presidente della Repubblica Kais Saied ha congelato le attività del Parlamento; in Marocco il partito islamista Giustizia e Sviluppo, al governo da oltre dieci anni, è stato sbaragliato alle ultime elezioni legislative, passando da 125 a 13 seggi. Queste vicende pongono il tema della possibile traiettoria dell’Islam politico definito “moderato”, “mainstream” o “gradualista”, cioè di quei movimenti che, a differenza delle organizzazioni jihadiste, sono disposte a operare all’interno delle strutture istituzionali esistenti.
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