David Maria Turoldo

Il kit formativo David Maria Turoldo è stato realizzato grazie al contributo di Michela Guidi, cultrice della materia per Storia della Chiesa Medievale presso il Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell'Università di Pisa. Il kit introduce figura di Padre Turoldo attraverso la sua opera creativa e poetica e mette in luce la complessa e sfaccettata personalità del sacerdote, impegnato su molteplici fronti religiosi, culturali, sociali, nell’intento di rivitalizzare su radici evangeliche il cattolicesimo italiano.

Data Creazione:
Gio, 18/12/2025 - 12:26
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Giuseppe Turoldo e “un paese di temporali e di primule”

 
Gli ultimi, fllm al racconto Io non ero un fanciullo (fonte immagine:  Ermes education)

 

 
Giuseppe Turolodo nasce a Coderno di Sedegliano in provincia di Udine il 22 novembre 1916. Ultimo di otto fratelli vive nel Friuli impoverito e martoriato della Prima Guerra Mondiale. A tredici anni entra nell’ordine dei Servi di Maria, nel 1930 è ammesso all’Istituto Missioni dei Servi di Maria a Vicenza. Il 30 ottobre del 1938 pronuncia i voti solenni e il 18 agosto 1940 viene ordinato presbitero. A Milano dal 1941 frequenta i corsi di filosofia dell’Università Cattolica e matura una coscienza antifascista che diviene azione e resistenza sociale con la fondazione del foglio clandestino L’uomo
Non dimentica però il Friuli e proprio a Milano la fondazione del Cinema Studio testimonia l’interesse per il cinema come mezzo per parlare agli uomini del suo tempo che animerà il progetto degli anni Sessanta di una trilogia di cui solo Gli ultimi (1962), ispirato al racconto Io non ero un fanciullo e su soggetto di padre Turoldo stesso, vedrà la luce. Protagonista è Checo, figlio di contadini affittuari, deriso dai coetanei e chiamato “Spaventapasseri”, che si presenta così:
 

“Era una triste e insieme inevitabile convinzione: che fosse vivo. Vivo come me. Non che sapessi cosa volesse dire «vivo». Forse, a parole, non lo saprei imbastire neppure oggi. Neppure sapevo il significato di «come me». Ecco, più tardi, io gli parlavo, gesticolavo come lui, gli rivolgevo domande; per i primi anni da lontano, s’intende. Ora gli gridavo a piena voce e ora invece timidamente, con paura che mi facesse il verso. Poi sillabavo da me le risposte, convintissimo fosse lui a rispondere… Invece ero io, io stesso. A pensarci mi si vela ancora oggi la vista e mi si arrugginisce la voce. Un bel rischio ho passato!
La colpa non era tutta mia; era dei compagni, anche. Quei compagni!… Era dei miei fratelli, almeno di Lino, maggiore di me di due anni: spesso bisticciavamo, e pure loro mi chiamavano a volte con quel nome. Forse causa involontaria ne era anche mia madre, che mi vestiva con gli ultimi stracci della casa; con un cappello di paglia l’estate, il quale sembrava un fondo di pattumiera, rosicchiato dai topi; e un vecchio cappello d’alpino d’inverno, o una bustina da esercito non so se italiano o austriaco: avanzi e detriti delle invasioni che venivano, certo, a portare civiltà a quella povera terra del Friuli, pestata da tutti a ogni guerra. Un berretto che i compagni (sempre i compagni!) spesso mi strappavano dalla testa a cuneo – il cuneo da spaccalegna per sventrare i ciocchi duri – e attaccavano a un albero, e poi giù a gara, in un guerresco tiro a segno. Io dovevo starmene lì, in disparte, a guardare, magari piangendo, ma con nessuno diritto di protestare. Dopo, quando tutti se ne andavano, maledettamente soddisfatti, io dovevo raccattarmelo, battere giù la polvere zitto zitto, e andarmene…”

 
Per un approfondimento dei vari passaggi della biografia di Turoldo si rinvia alla voce del Dizionario biografico degli italiani redatta da Mariangela Maraviglia: 
 

Ultimo di otto fratelli, nacque a Coderno di Sedegliano (Udine) il 22 novembre 1916 da Giovanni e da Anna di Lenarda.
La famiglia condivideva la povertà di un Friuli martoriato dall’arretratezza economica e dall’imperversare della prima guerra mondiale: il padre, piccolo affittuario, era costretto a integrare il magro reddito lavorando come bracciante; due figli morirono da piccoli, due dovettero emigrare all’estero, le due figlie impiegarsi giovanissime a servizio lontano da casa.
Anche se fu un tempo di fame e di miseria Turoldo rievocò più volte questa sua «infanzia d’oro» perché vi apprese un patrimonio di valori che avrebbe contrassegnato la sua vita e la sua opera. I genitori rimasero nella sua memoria come i primi e «più grandi maestri».

 
 
Data: 07 Dicembre 2025
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Dal Friuli al mondo

 

Giuseppe Turoldo vive profondamente il secolo breve, la sua non è un’esperienza che si snoda parallelamente o che interseca in modo casuale la storia del Novecento. La vita di Padre David Maria Turoldo è stata un'esistenza intensa e "eccedente", caratterizzata da un impegno profondo per la rigenerazione spirituale e sociale e da un'audace ricerca di nuovi linguaggi per comunicare il Vangelo. Gli anni giovanili (1941-1943) trascorsi nel convento di San Carlo al Corso di Milano e gli studi filosofici all'Università Cattolica furono un periodo di grande fermento, che lo vide incontrare maestri come Mario Apollonio e Gustavo Bontadini, e compagni come Luigi Santucci e Angelo Romanò. In questo contesto, Turoldo partecipò attivamente alla Resistenza contro il fascismo, un impegno che interpretò come una scelta "dell’umano contro il disumano" e un'attesa di profonda rigenerazione. Nel dopoguerra, scommise su un audace riformismo della società italiana e della Chiesa, collaborando con le "avanguardie cattoliche" del tempo, tra cui Primo Mazzolari, Giuseppe Dossetti e Giuseppe Lazzati. Iniziative concrete come l'appoggio alla comunità di Nomadelphia di don Zeno Saltini, e l'avvio della Corsia dei Servi a Milano (con la sua libreria, il cinema e le edizioni), testimoniarono il suo desiderio di rinnovamento.

A causa delle sue posizioni critiche e non allineate all'unanimismo del pontificato di Pio XII, Turoldo fu più volte allontanato da Milano e dall'Italia. Visse questi allontanamenti come "dolorosi esili", sentendosi impedito dalla Chiesa stessa di vivere il Vangelo. Nonostante il dolore, riconobbe che queste partenze forzate offrirono preziose opportunità di incontri e aperture: in Germania conobbe Romano Guardini e il movimento liturgico; a Londra e negli Stati Uniti poté studiare e confrontarsi con personalità che lo affrancarono dal provincialismo del cattolicesimo italiano. A Firenze, negli anni Cinquanta, entrò in contatto con la vitalità del cattolicesimo riformista di Giorgio La Pira e strinse amicizia e collaborò con Lorenzo Milani, Ernesto Balducci e Giovanni Vannucci, portando avanti anche lì iniziative come la Messa della carità per i poveri e il cineforum.

Con Mariangela Maraviglia ripercorriamo il senso e le tappe di una vita:

Cosa possiamo dire e cosa ricordare ancora in un tempo in cui non vi è più traccia dell’Italia contadina e operaia in cui Turoldo nacque e visse, in cui i mutamenti culturali hanno costruito inediti modelli di immaginario collettivo, minando non solo il ricordo di personalità significative ma la stessa trasmissibilità della fede cristiana alle nuove generazioni?
Forse proprio in questo tempo trasformato e senza memoria vale la pena riproporre un’esperienza come la sua, in cui rivive quella di intere genera zioni novecentesche, rivivono guerre, povertà, dittature, riscatti, speranze di una stagione in cui si alimentarono progetti di rinascita culturale, sociale, civile, ecclesiale. Forse proprio in questi giorni tragici, in cui un popolo deve incredibilmente combattere la sua Resistenza contro un invasore, nel ventunesimo secolo e al centro dell’Europa,2 vale la pena ricordare chi la Resistenza contro fascismo e nazismo l’ha vissuta in prima persona, in nome dell’efficacia anche storica della propria fede cristiana perché, come affermava Turoldo, «la parola di Dio è un fatto e non un suono».

 

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Data: 07 Dicembre 2025
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Turoldo uomo di fede, uomo di Dio, amico di tutti gli uomini

 

Dopo il suo rientro definitivo in Italia nel 1960, accolto nel convento di Udine, Padre David Maria Turoldo volle sperimentare il linguaggio cinematografico con il film Gli ultimi (1963), un'incursione sfortunata, ma convinta, in un mezzo di comunicazione popolare. Attraverso la vicenda del piccolo Checo e della sua famiglia contadina friulana, il film presentava la povertà non solo come miseria da combattere, ma anche come «ricchezza» di valori da recuperare contro l'alienazione della nascente società consumistica; tuttavia, questo racconto dai tratti autobiografici non ebbe successo in un'Italia in forte sviluppo economico, che preferiva dimenticare la sua recente povertà.

Chiesa di Sant'Egidio in Fontanella 

 

La svolta arrivò con gli anni del Concilio Vaticano II, che Turoldo salutò con entusiasmo, e che gli aprirono la possibilità di insediarsi nel 1964 nell'abbazia di Sant’Egidio a Fontanella di Sotto il Monte (Bergamo), paese natale di Papa Giovanni XXIII. Questo trasferimento fu la realizzazione di un duplice sogno: un progetto comunitario di fratellanza tra religiosi e laici e l'ambizione di fare di quel luogo «una piccola nuova Assisi», capitale della pace. Per quasi un trentennio, da Sotto il Monte, Turoldo poté dispiegare con libertà la sua azione e la sua parola, focalizzandosi su quattro fronti di intervento in linea con i documenti conciliari.

Questi impegni portarono al culmine la sua vita, concentrandosi sulla Bibbia, con una produzione instancabile di commenti; sulla Liturgia, arricchita dai Cantici e dalla traduzione dei Salmi con l'aiuto di Gianfranco Ravasi; sulla Giustizia, intesa come fede «incarnata» nella storia e nei cammini di liberazione; e sulla Pace, che egli considerava «utopia che porta avanti il mondo» e legava strettamente al «rapporto dell’uomo con le cose», in nome di una concezione non depredatoria della natura. La sua voce tonante, definita «da cattedrale o da deserto», rimase difficile da dimenticare per chi la udì aprire o chiudere manifestazioni in piazze e strade. Nonostante fosse spesso emarginato per le sue posizioni controcorrente, la sua figura fu riassunta con efficacia dal cardinale di Milano Carlo Maria Martini in occasione delle esequie funebri, che lo definì: «Poeta, profeta, disturbatore delle coscienze, uomo di fede, uomo di Dio, amico di tutti gli uomini».

 

 

 

 

 

Leggiamo l’omelia del cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, durante la celebrazione dei funerali di Padre Davide Maria Turoldonella chiesa di S.Carlo al Corso in Milano l’8 febbraio 1992:

 

Padre David, tu ci hai tanto profondamente insegnato a stimare il silenzio, in particolare il silenzio di Gesù: tu ci hai detto, stupendoci, che la vita di Gesù è stata avvolta più dal silenzio che dalla parola; tu ci hai esortato, di fronte al dolore di Maria per la morte del suo Figlio, a cantarlo nel silenzio:
“ Nessun profani il dolore e la morte :
non altro vi è di più caro nel mondo
che saper piangere il pianto dell’uomo,
essere chiesa così, del silenzio ! “
E il nostro, oggi, è anzitutto il tempo del silenzio, dell’affetto, della preghiera per te e con te, mentre siamo qui a rappresentare le innumerevoli folle di coloro che tu hai amato e che ti hanno tanto amato. Un silenzio anche necessario perché risuonino soltanto le parole vere, quelle dei vangeli.

 

Continua a leggere Un canto stupendo di fede e di pacee ascolta l’intervista di Adriana Masotti...

 

 

Data: 07 Dicembre 2025
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Turoldo poeta, profeta, disturbatore delle coscienze

 

L'azione di Padre David Maria Turoldo, pur toccando i campi più svariati (saggistica, articoli, teatro, cinema, traduzione dei Salmi e inni liturgici), trova il suo fondamento nella poesia. Egli stesso confessò che la sua concezione esistenziale e il suo impegno sociale, ecclesiale e culturale sono meglio compresi attraverso una "lettura lirica" unitaria delle sue attività. Il poeta Andrea Zanzotto lo riconobbe definendo la sua opera come costantemente riconnessa alla "presenza della poesia". Manifestò la sua vocazione poetica precocemente, iniziando a scrivere poesia giovanissimo e pubblicando le sue prime liriche ne L’Uomo, un periodico da lui stesso fondato con intenti chiaramente antifascisti. La sua opera si sviluppò in tre stagioni principali che riflettono il suo intenso percorso esistenziale e spirituale. La Prima Stagione, che va dagli anni Quaranta agli anni Sessanta, è caratterizzata da echi esistenzialisti ed ermetizzanti e riflette l'attivismo giovanile di Turoldo a Milano, dove avviò le attività della Corsia dei Servi e sostenne comunità come Nomadelfia, ma anche i successivi e dolorosi esili forzati. Le raccolte fondamentali di questo periodo includono Io non ho mani (1948), Udii una voce (1952), Gli occhi miei lo vedranno (1955) e Se tu non riappari (1963). Con la Seconda Stagione, sviluppatasi negli anni Settanta e Ottanta, la sua poesia divenne più segnata dall'urgenza dell'impegno sociale, adottando una prosasticità della cronaca e dedicandosi alle lotte per la giustizia e la pace che animarono la sua vita nell'abbazia di Sant'Egidio a Sotto il Monte (dal 1964). Tra le opere che incarnano questo periodo si annoverano Il sesto Angelo (1976), Fine dell’uomo?Il grande male (1987) e Nel segno del Tau (1988). Infine, con gli anni Novanta e l'aggravarsi della sua malattia che lo condusse alla morte nel 1992, domina una drammatica interrogazione sul male, su Dio e sul senso del tutto. Quest'ultima fase culminò con Canti ultimi (1991) e l'opera postuma, dal titolo ossimorico, Nel lucido buio. Leggiamo in Gabriel Del Sarto, Raccontare la verità. Saggio sulla poesia di David Maria Turoldo:

 

Wallace Stevens scrisse in Imagination as Value: «I grandi poemi del paradiso  e dell’inferno sono già stati scritti, ma rimane da scrivere il grande poema della  terra». È probabile che questo poema non sarà opera di uno solo, ma di diversi, semmai sarà scritto. Turoldo potrà, a mio avviso, essere annoverato fra costoro. La poesia di David Maria Turoldo è il tentativo di amare e tenere tutto questo  insieme: la polvere della terra, le infnite galassie, il nome di Dio. Perché se non  manterremo vivo l’amore – quel costante colloquio fra noi – anche il suo nome luminoso andrà in frantumi.

 

Per  approfondire la poesia di Padre Turoldo leggi «Rinverdirà ogni carne umiliata…». La poesia della terra, della storia, di Dio di David Maria Turoldo... 

 

 

Data: 07 Dicembre 2025
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Bibbia e poesia

 

La poesia di Padre Turoldo è un «diario» intimo e uno specchio del suo vissuto esistenziale, tanto da realizzare una «perentoria... inscindibilità tra vita ed opera». Nelle sue liriche emerge un «io storico, carnale e esistenziale» che non teme l'esposizione personale, anche «impudica», sia nel raccontare i tormenti della rinuncia sacerdotale, come si vede in Io non ho mani, sia nell'esprimere il suo profondo bisogno di servizio e coinvolgimento nel dolore della città e dei poveri. Questa spiritualità si fonda su un profondo amore per la realtà materiale: Turoldo fu"innamorato del terrestre", come suggerisce il titolo O sensi miei…, riconoscendo nei sensi «le cinque operazioni divine» e nel corpo «la sede della divinità». Questa passione per la realtà materiale (terra, mondo, creatura) si intrecciava con la sua visione del cristianesimo, alimentata dalle origini contadine e dalla pratica della Bibbia, rivendicando una teologia dell'incarnazione nella storia e nel cosmo che superava il dualismo tradizionale, prefigurando una «speranza integrale» umana e divina. Il debito letterario e spirituale più grande di Turoldo è proprio verso la Bibbia, libro che considerava la fonte della sua poesia. La sua opera è «totalmente intarsiata e innervata di citazioni» e personaggi biblici, usati in un processo di attualizzazione che porta il testo sacro a confrontarsi con il vissuto presente (mettendo in parallelo, ad esempio, Geremia con figure contemporanee di giustizia come il vescovo Oscar Romero). La Bibbia conferiva alla sua poesia una potente carica eversiva di denuncia e profezia, poiché, come affermava Turoldo, il profeta non è colui che annuncia il futuro, ma «colui che in pena denuncia il presente», che «Straniero agli stessi fratelli / sola compagna una fede/ che è mistero a me stesso».
La poesia di Turoldo è depositaria della memoria di un’talia che non esiste più. Il ricordo dell’odore del pane o il profumo della polenta colore dell’oro funzionano da correlativo oggettivo di un passato perduto (Ma il grande folle) e anche solo rivolgere verso di esso il pensiero è utopia. Ma la sua poesia è densa di una memoria quanto mai attuale (Torniamo ai giorni del rischio) che ci interroga e ci spinge verso una fede non esente dal dubbio, ma che nel dubbio e dal dubbio trae la sua forza e la speranza: non più questi termitai/ non più catene dolomitiche/ di grattacieli/ non più urli di sirene/ non più guardie/ a presiedere le porte/ non più selve di ciminiere… saremo in quest'unico incendio/ e invece di incenerire usciremo/ nuovi come zaffiri/ e avremo occhi di topazio:/ quando appunto Egli dirà/ "ecco, già nuove sono fatte tutte le cose"/ allora canteremo/ allora ameremo/ allora allora...(Ballata della speranza).
Ma leggiamo alcuni versi di Padre Turoldo:
 
Io non ho mani
che mi accarezzino il volto,
(duro. l’ufficio
di queste parole
che non conoscono amori)
non so le dolcezze
dei vostri abbandoni:
ho dovuto essere
custode
della vostra solitudine:
sono
salvatore
di ore perdute.
  (Io non ho mani, 7)

 

Puoi continuare su Le poesie di p. David Maria Turoldo…

 

 

 

Data: 07 Dicembre 2025
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Bibliografia Turoldo

Data: 07 Dicembre 2025