Luciana Pepi prosegue nell'analisi dei testi fondanti dell'ebraismo grazie a un brano tratto dal suo volume Una sapienza straniera. Filosofia ed ebraismo nel medioevo, nel quale affronta il significato del Midrash.

 

Il termine midrash, dalla radice d r sh cercare, ricercare, investigare, significa letteralmente ricerca, indagine, investigazione. Indica sia un metodo esegetico dell’ermeneutica rabbinica, sia i testi (Midrashim) che seguono tale metodo. Il Midrash mira a comprendere le ragioni profonde del testo ed anche ad interpretarlo in vista dell’attuazione pratica. La Torah, rivelata in un determinato momento della storia, si rivolge in realtà a tutti gli esseri umani di tutti i tempi, perciò deve essere aperta a tutti i legittimi adattamenti, a tutte le nuove situazioni e l’interpretazione midrashica cerca di adattare il testo alle sempre nuove esigenze.
Il Midrash, che spesso si esprime con racconti ed immagini, presuppone una ricerca minuziosa, un’attenzione al dettaglio, al particolare, segue regole ben precise, che mirano a valorizzare una singola parola, una lettera, o l’accostamento di parole. Il linguaggio del Midrash utilizza, oltre che le immagini, termini facilmente comprensibili e popolari, risulta quindi coinvolgente, ricco di parabole, metafore e giochi di parole, basati a volte solo su cambiamenti vocalici, che permettono di avvicinare una problematica complessa alla comprensione di ogni individuo, anche del più semplice.1 A questo tipo di tecnica linguistica corrisponde uno stile che potremmo definire semplice “nella sua complessità”: non vi sono infatti all’interno dell’interpretazione midrashica ragionamenti complicati o di difficile comprensione; allo stesso tempo però questi commenti non offrono soluzioni definitive. Come si evince dal nome che significa “ricerca”, “indagine”, lo scopo del Midrash è anche quello di aprire percorsi di ricerca continui che, lungi dall’essere chiusi da una interpretazione definitiva, si offrono sempre a nuove aperture ed a nuove interpretazioni. In particolare vi sono tre principi che stanno alla base del lavoro dei darshanim (maestri del Midrash): 1. necessità di interpretare tutti i particolari; 2. importanza di ogni particolare; 3. indipendenza di ogni singolo termine. Tutti e tre i principi hanno lo scopo di mettere in evidenza gli elementi più piccoli del testo. Ogni singolo segno, punto, congiunzione, ogni ripetizione di parola, ha una sua importanza specifica; anche il minimo errore ortografico, anche uno spazio vuoto o una minima sbavatura nella copiatura di una lettera, non è stata fatta per caso, ha un suo significato ben preciso, che deve essere scoperto e svelato dal darshan. Questo tratto è molto importante ed esprime la capacità di attenzione ai minimi dettagli del testo, anche alla forma delle lettere che lo compongono. Per capire l’importanza che anche il minimo segno ortografico assume nell’interpretazione midrashica, prendiamo come esempio la spiegazione di uno dei significati assunti dalla lettera ebraica he, a partire dal suo segno grafico, ossia ה: «La he, chiusa da tutte le parti e aperta verso il basso, allude al fatto che tutti i defunti scendono nello she’ol, la capocchia è rivolta verso aperta verso il basso, allude al fatto che tutti i defunti scendono nello she’ol, la capocchia è rivolta verso l’alto per indicare che risaliranno per essere richiamati in vita, lo spazio aperto (sul bordo superiore sinistro) è la via di salvezza cui possono accedere i penitenti».2 L’altra caratteristica dell’ermeneutica midrashica è la tecnica allegorica da essa utilizzata. Dei quattro tipi di interpretazione esegetica letterale, allegorica, omiletica e segreta (peshat, remez, derash e sod), il Midrash, riprende il derash, ossia l’interpretazione allegorica-omiletica del testo sacro. Ciò non impedisce che vi siano alcuni midrashim che, pur usando una tecnica non letterale, si avvicinino al peshat (interpretazione letterale).
A volte si parte dal testo come spunto, come pretesto, e la lettura proposta se ne allontana completamente, inserendo contenuti totalmente nuovi. Il Midrash concepisce la Torah come un’unità, ogni sua parte è collegata al resto. Importante è il criterio ermeneutico secondo il quale ogni parola che si trova in passi diversi, anche se appartenenti a libri di generi differenti (storici, profetici) crea legami tra questi. Nell’ottica midrashica non è casuale il suo trovarsi in quei determinati contesti, e questi ultimi vanno collegati tra loro proprio a causa della presenza di quella parola. Secondo una bella e suggestiva immagine proposta dal Midrash la Torah è come una preziosa collana di perle, in cui un unico filo tiene unite e collegate tra loro le singole perle. Dalle connessioni tra brani diversi, scaturiscono esegesi sempre nuove e certamente molto affascinati. Inoltre anche la spiegazione della Torah di taglio midrashico è basata sul presupposto che ogni passo biblico sia dotato di una pluralità di esegesi.

 

Note

1 G. Levi, «Il Talmud», p. 17; J. Zegdum, Il mondo del midrash, Carucci editore, Roma 1986, p. 9.

2 G. Momigliano, «L’interpretazione omiletica: il Midrash-haggadah», in S. J. Sierra, La lettura ebraica delle Scritture, Dehoniane, Bologna 1996, p. 138.

 

Approfondimenti

http://www.bicudi.net/materiali/midrash.htm