L’epoca d'oro dell'ebraismo

Dopo la scuola babilonese, che cessa per persecuzioni poco dopo l’anno 1000 e.v., e la fine delle grandi accademie pugliesi nel tardo Duecento, a causa della persecuzione degli ebrei dell’Italia meridionale-peninsulare, il centro culturale dell’ebraismo mondiale si sposta nella penisola Iberica in particolare nella Spagna, dove si illuminerà la cosiddetta epoca d’oro dell’ebraismo che va dai secc. IX-X al sec. XII prolungandosi poi fino al sec. XIV. Le condizioni di questa fioritura in Spagna furono create dalle conquiste islamiche e dal fiorire della grande civiltà islamica. In questo periodo ci fu una ricca produzione culturale-esegetica in occidente, nella scuola francese e quella spagnola, mentre nella Penisola Iberica ci fu una osmosi profonda tra la cultura ebraica e la cultura araba. In questo periodo ci fu un reciproco influsso e arricchimento fra l’ebraismo e la grande civiltà islamica: furono gli arabi a riscoprire la cultura classica e a fare traduzioni in arabo di testi classici antichi, e a loro volta gli ebrei della Scuola di Cordova, che conoscevano l’arabo la loro madre lingua, tradussero molte di queste opere in ebraico e perfino dall’ebraico al latino. Va a loro in larghissima parte il merito di essere stati i tramiti del collegamento fra l’ebraismo e la cultura classica, greca, e di aver consegnato all’occidente latino l’eredità del mondo classico. Nel centro culturale di Cordova nel X secolo fu costruita la prima grammatica ebraica, basandosi su quella dell’arabo, già prima sviluppata dal mondo Islamico. Pertanto, gli ebrei vennero a conoscenza del mondo occidentale e dell’Europa cristiana mediante il filo che passa attraverso le traduzioni arabe ed ebraiche.
Questa è l’epoca d’oro in cui sulla scorta della riscoperta della filosofia greca compiuta dagli arabi, essi    riscoprono Aristotele e la filosofia greca. In particolare il medico, filosofo e commentatore, Maimonide (1135-1204), la più grande figura dell’ebraismo dell’epoca d’oro in Spagna, che era nato a Cordova e che aveva come lingua madre l’arabo, lingua con cui scrisse tutte le sue opere tranne il Mishnéh Torah, o “La ripetizione della Torah”. Egli studiò la filosofia aristotelica e fece una specie di ristrutturazione di tutta la religione ebraica alla luce delle categorie di tale filosofia. In ambito cristiano nel secolo XIII San Tommaso d’Aquino farà la stessa operazione per il cristianesimo, cercando di incasellarlo nella filosofia aristotelica, alla quale il cristianesimo è ancora vincolato fino ad oggi. Noto anche come Rabbi Moshè ben Maimom con l’acrostico Rambam, - da non confondere con il Nachmanide o Rabbi Moshè ben Nachman, acronimo Ramban,- tentò di conciliare i dati fondamentali della fede e della religione ebraica inserendola nelle grandi categorie del pensiero aristotelico, cercando di farne vedere le convergenze, le affinità. Per certe cose come la resurrezione dei morti e la creazione, restò una difficoltà, perché per Aristotele non esiste la resurrezione e la materia del mondo è eterna. Maimonide ha influenzato in maniera marcata l’ebraismo. Il suo pensiero in quanto fortemente influenzato dalla filosofia aristotelica, ha una marcata tendenza razionalista. Egli spesso usa il metodo allegorico. Le sue opere più importanti sono “La guida dei perplessi”, scritta per coloro che, in questo incontro tra religione ebraica e filosofia aristotelica, rimanevano disorientati nella loro fede, per spiegare che si poteva fare questa sintesi senza perdere la fede. Abbiamo poi un “Commento alla Mishnàh”, opera in cui Maimonide ha cercato di riassumere in ebraico tutta la normativa religiosa contenuta nella Mishnàh e nel Talmud; infine abbiamo “La ripetizione della Toràh”.

 

Il credo della fede ebraica di Maimonide

Proprio sotto l’esigenza sistematica di questo influsso esercitato sull’ebraismo dalla filosofia greca aristotelica, Maimonide fu il primo a lasciarci una formulazione sistematica, un credo in 13 punti in cui riassume gli articoli fondamentali della fede.
Credo Ebraico:
  1. Dio esiste ed è il Creatore di tutto ciò che fu e che sarà”.
  2. “Unità e trinità assoluta di Dio che non può essere suddivisa in parti”. (Monoteismo assoluto)
  3. “Incorporeità di Dio”: Dio non ha corpo né attributi simili a quelli dei corpi fisici che sono corruttibili, in conseguenza di ciò i passi biblici con riferimenti antropomorfici a Dio erano interpretati allegoricamente.
  4. Dio non ha né principio né fine” (eternità).
  5. “Si deve adorare solo Dio escludendo ogni altra Sua creatura celeste (o angelica) e umana” (si intravede la polemica anticristiana).
  6. “La profezia è dono gratuito di Dio concesso ad alcune persone poste a contatto diretto con Lui”.
  7. “Mosè è il padre e il più grande di tutti i profeti”.
  8. “La Toràh ha origine divina ed è stata rivelata da Dio a Mosè così com’è”.
  9. “Alla Toràh non si può ne aggiungere ne togliere nulla, non sarà abrogata o mutata in un altra legge”.
  10. Dio conosce tutte le azioni del genere umano”.
  11. “La rimunerazione divina: Dio ricompensa chi osserva i suoi precetti e punisce chi li trasgredisce”.
  12. “Credo nella venuta del Messia e per quanto possa tardare dobbiamo essere pronti a riceverlo”.
  13. “Credo nella risurrezione dei morti, che quando a Dio piacerà risorgeranno”.
Quest’ultimo punto per Maimonide si colloca all’inizio dell’era messianica: i morti risorgeranno e vivranno nell’epoca messianica questa vita nella risurrezione.

 

La scuola rabbinica

Altri grossi esponenti di questo periodo aureo dell’ebraismo, pas­sato ormai in occidente, sono i più grandi commentatori della Bibbia di tutti i tempi: Rashì (nome che deriva dalle iniziali del nome completo Rabbì Shelomoh Yitzaki) considerato il massimo commentatore ebreo della Bibbia. Rashì è vissuto nella Francia Settentrionale e il suo commento ha raggiunto una popolarità grandissima seconda solo al testo della Bibbia, al punto che il suo commento è diventato una specie di corona che accompagna sempre il testo della Bibbia ebraica, in particolare la cosiddetta Bibbia rabbinica, in cui  al centro c’è il testo ebraico, a fianco la traduzione in aramaico o targùm (= traduzione, versione della Bibbia ebraica in aramaico, fatta negli ultimi secoli a.e.v. per gli ebrei della Palestina dove la lingua parlata era l’aramaico), e tutt’intorno nel margine superiore e inferiore e in quella laterale, a formare una sorta di corona alcuni dei principali commenti esegetici alla Bibbia. Questo importante autore ha commentato anche il Talmud. La Bibbia rabbinica inizialmente era manoscritta, finché nel 1523/25 a Venezia, Daniel Bonberg (uno tra i più importanti stampatori cristiani di libri ebrei), ha fatto l’editio princeps della Bibbia rabbinica che è utilizzata ancora oggi dagli ebrei.

 

La Qabbalàh

A questa forte influenza di natura filosofica che il giudaismo ha ricevuto mediante l’opera di Maimonide c’è stata una reazione, perché secondo un filone di pensiero essa finiva con il razionalizzare troppo, perdendo certi dati autentici della tradizione ebraica. Nascono così tutta una serie di movimenti di tipo mistico, e tra questi in Europa (Provenza) nelle prime decadi del sec. XIII la qabbalàh, o mistica ebraica che è tutta il contrario di un rigoroso razionalismo filosofico, è anzi l’esaltazione di dati esoterici, è una speculazione sulla divinità, sulla sua natura, che in parte si ricollega a tradizioni mistiche antiche e in parte subisce anche influssi gnostici.
La qabbalàh è la mistica ebraica che si rifà ad antiche concezioni e speculazioni molto complesse centrate su due poli: il racconto della creazione e il racconto del carro divino descritto nel primo capitolo del libro del profeta Ezechiele. Essa si dedica soprattutto a speculazioni mistiche esoteriche, talvolta strane, sull’opera della creazione e sull’opera così detta “del carro” (il carro su cui vi era la presenza di Dio, di cui parla Ezechiele). In questa mistica vi è l’esaltazione degli elementi irrazionali, nonché della sessualità, anzi quest’ultima è addirittura proiettata verso Dio. Essa postula in Dio la compresenza di un elemento maschile ed un elemento femminile dalla cui autorità derivano tutte le emanazioni, che sono gli attributi di Dio. Per una certa tradizione cabalistica ad es. è importantissimo il rapporto sessuale tra uomo e donna al fine di ricomporre l’unità spezzata in Dio stesso. Da qabbalisti il sabato è concepito come la “sposa d’Israele” e ritengono che in questo giorno vi debbano essere dei rapporti sessuali tra lo sposo e la sposa, proprio perché in esso vi è una specie di ricomposizione momentanea dell’armonia originale dell’unità del divino.
 

(testo di Mauro Perani)