La promulgazione del Codice, come si è detto, è da considerare una svolta nella storia della legislazione canonica, un mutamento di cui già i contemporanei avevano avuto una chiara percezione. Le ripercussioni si riversarono nell’impostazione e nei contenuti non soltanto di testi riguardanti prettamente la scienza canonistica, ma si potevano cogliere anche in manuali di teologia.
Quel che infatti si deve sempre tenere a mente è il carattere strutturale che all’ordinamento portava il processo codificatorio, già in uso nel contesto della legislazione civile – su insegnamento del Code civil di Napoleone –, e che una parte delle alte sfere della curia di Roma decise di introdurre all’interno della scienza canonistica, primo fra tutti papa Pio X, in coerenza con il suo programma di riforma. Spiega infatti Fantappiè:
 
L’ultima spinta e il via alla codificazione dati da Pio X s’inquadrano, poi, nel suo programma pontificale che si propone la duplice tutela del patrimonio dogmatico della Chiesa dai contagi con il “pensiero moderno”, e del patrimonio degli istituti e delle norme canoniche dal rischio della loro decadenza inosservata. Da questo punto di vista l’azione del pontefice non si traduce solo nella condanna del movimento modernista, ma anche nel più grande sforzo di prolungamento e di riorganizzazione delle fonti e delle istituzioni della Chiesa avvenuta dopo il concilio di Trento. In particolare la scelta codificatoria di Pio X si rivela coerente col suo programma, perché tende a ridare certezza al diritto nella Chiesa, a consacrarne il carattere pubblicistico, esterno rispetto alle società nazionali ma coordinato con il sistema degli Stati […] a rafforzare l’organizzazione ecclesiastica rendendola, mediante il nuovo strumento giuridico, più compatta, accentrata e funzionale.

 

Carlo Fantappiè, Storia del diritto canonico e delle istituzioni della Chiesa, Bologna: Il Mulino, 2011, p. 263. Vai alla scheda del libro...  

Papa Pio X