Con il termine ebraismo noi intendiamo la forma che la religione e la cultura ebraica hanno assunto a partire dalla seconda metà del I sec. e.v. e che si è mantenuta, nelle sue linee essenziali, sostanzialmente identica fino ai nostri giorni.
A volte non c’è univocità totale nell’uso dei termini ebraismo e giudaismo: molti, per esempio, con ebraismo intendono la religione ebraico-biblica dell’Antico Testamento, mentre noi, anche se c’è continuità e molti contenuti sono identici, con il termine ebraismo ci riferiamo di fatto a quella sintesi culturale e religiosa che, a partire dal 70 e.v., è nota come giudaismo rabbinico; chiameremo invece Veterotestamentaria o Biblica la forma della religione ebraica nel periodo precedente. Nel senso precisato noi useremo a volte in modo intercambiabile sia il termine ebraismo sia quello di giudaismo.

 

Alcune premesse

Per noi che proveniamo dall’ambito cristiano è molto facile avere delle difficoltà di comprensione nei confronti della religione ebraica, a causa di alcune categorie mentali e teologiche che possediamo fin dall’infanzia e che possono costituire delle pre-comprensioni devianti nei confronti di alcuni concetti propri dell’ebraismo. Queste categorie di pensiero di fatto rischiano di deviarci da una corretta comprensione di alcuni aspetti della religione ebraica se non cerchiamo in qualche modo di liberarcene per un momento mettendole tra parentesi.
Queste pre-comprensioni possono essere di carattere filosofico oppure religioso e teologico, legate specificamente alla nostra formazione cristiana. Ad esempio, ci sono parole che compaiono sia nell’ebraismo sia nel cristianesimo ma con un significato diverso: ciò avviene ad esempio per parole come redenzione, Messia, peccato, salvezza, regno messianico, vita eterna, aldilà, giustizia, giustificazione, santificazione ecc.
 
Peccato: nel cristianesimo noi parliamo di peccato originale per indicare la colpa, commessa contro Dio dai progenitori, originante una condizione di peccato, corruzione e decadenza dell’umanità dalla quale l’uomo non è in grado di uscire da solo, ma soltanto grazie al dono della salvezza fatto da Dio in Cristo Gesù. Il peccato originale pone gli uomini in uno stato di lontananza da Dio che si trasmette di padre in figlio da una generazione all’altra, così che ogni bimbo nasce in questa condizione di peccato, di lontananza da Dio e di dominio di Satana dalla quale è strappato con il battesimo che lo fa creatura nuova. La condizione decaduta della natura umana rende necessario un intervento salvifico divino. Per questo Dio ha mandato il suo Figlio Unigenito che morendo sulla croce e risorgendo ha portato la salvezza agli uomini.
Nell’ebraismo il peccato dei progenitori (non è infatti chiamato peccato originale) è visto, invece, come l’inizio della serie di ribellioni e disobbedienze dell’uomo nei confronti di Dio, una ribellione che in qualche modo si ripete in ogni individuo, senza tuttavia che il peccato dei progenitori provochi una decadenza della natura umana insanabile senza l’intervento di un messia salvatore. Secondo la religione ebraica, infatti, la vita umana è continuamente esposta alla dialettica peccato-perdono e ogni uomo pecca perché in lui esistono due istinti uno che lo spinge verso il bene e uno verso il male: all’uomo sta la scelta se seguire l’uno o l’altro e se accondiscende l’istinto cattivo commette il peccato a cui però è sempre data una possibilità di perdono mediante la conversione o tešuvàh. Per questo nella visione ebraica il peccato non rende necessaria la venuta di un salvatore-redentore in senso cristiano, poiché non esiste una condizione decaduta dell’uomo schiavo del male, bensì una continua dinamica di peccato-conversione-perdono che accompagna l’esistenza di ogni uomo e del popolo nel suo insieme.

 

Messia: questo concetto è strettamente legato al discorso della salvezza, perché in entrambe le religioni, in qualche modo, è il Messia che porta la salvezza. Ma anche lo stesso concetto di salvezza è inteso in maniera diversa.
- Il Messia dei cristiani è Figlio di Dio fatto uomo.
- Il Messia degli ebrei non è Dio e neanche Figlio di Dio, ma è uomo, magari dotato di doni e forza da parte di Dio. Tra l’altro l’epoca messianica per gli ebrei è strettamente connessa ad una liberazione anche materiale e politica di Israele dall’oppressione in cui era tenuto.
L’epoca messianica è intra-storica, non è nell’aldilà.
- Inoltre, per i cristiani prima viene il Messia che dona la salvezza, cui segue la conversione (si accetta il dono e si può vivere da salvati).
- Mentre per gli ebrei è il contrario, la venuta del Messia è subordinata alla conversione di Israele.
 
Salvezza: per i cristiani la salvezza, dunque, è il superamento della lontananza da Dio, in cui l’uomo è caduto con il peccato originale, mediante Cristo incarnato.
La salvezza ebraica invece non è legata alla figura del Messia divino-umano, ma viene sempre direttamente da Dio ed è una continua dinamica di peccato-salvezza (storia del popolo d’Israele nell’Antico Testamento). Anzi nell’ebraismo rabbinico il mediatore della salvezza non è il Messia quanto la Toràh (Legge) rivelata da Dio a Mosè, che contiene una serie di precetti da rispettare. Essi sono stati dati da Dio come via di salvezza.
 

(testo di Mauro Perani)