Quando tra il 1951 e il 1952 Dossetti aveva interrotto il proprio impegno politico lo aveva fatto nella convinzione che per produrre in Italia (un paese che nel suo giudizio versava in una condizione catastrofica) una riforma sociale veramente efficace, occorresse anzitutto affrontare il nodo della crisi in cui versava il cattolicesimo: perché sin quando la Chiesa non avesse affrontato questa crisi avrebbe continuato a rappresentare un ostacolo insormontabile per qualsiasi processo di rinnovamento. Per questo, insieme ad alcuni giovani amici che lo seguivano da vicino già da alcuni anni, tra i quali Giuseppe Alberigo, fondò a Bologna il Centro di Documentazione. Lo scopo che gli era stato assegnato era quello di svolgere una funzione di ricerca storico-teologica che ormai da decenni, per differenti ragioni, le università italiane – e ancor di più quelle pontificie – avevano abbandonato. Erano anche le modalità di lavoro ad essere innovative, perché Dossetti immaginava di dar vita a una comunità di studiosi, capaci di confrontarsi apertamente nella coscienza di lavorare a un progetto comune.
Già negli anni Quaranta Dossetti aveva posto il problema della crisi che attraversava il cattolicesimo, dissimulata da un iperattivismo in cui individuava i germi di un semipelagianesimo strisciante. Aveva dunque individuato nello studio dei concili, che si erano sempre dimostrati un fattore rigenerante per l’ecumene cristiana, un nucleo centrale di questa nuova stagione di ricerca per i membri del Centro di documentazione, ai quali si era aggiunto Paolo Prodi. Questa scelta si sarebbe rivelata straordinariamente attuale nel momento in cui Giovanni XXIII, in modo del tutto inatteso, annunciò nel gennaio 1959 la decisione di convocare un nuovo concilio. I ricercatori del Centro di Documentazione di Bologna, con l’aiuto del grande storico del Tridentino, Hubert Jedin, furono così impegnati nella realizzazione di un volume che raccogliesse tutti i testi delle decisioni dei precedenti concili che con il titolo Conciliorum oecumenicorum decreta venne pubblicato nel 1962 e presentato a Giovanni XXIII in udienza pochi giorni prima dell’inizio del Vaticano II.
Della crisi che attraversava il cattolicesimo e dei suoi riflessi catastrofici sul piano politico-sociale Dossetti aveva parlato in una lezione tenuta a un gruppo di giovani riuniti presso il Collegio Augustinianum dell’Università Cattolica di Milano il 29 marzo 1953:
… La criticità ecclesiale deriva dal prolungarsi per molti secoli, fino a raggiungere un grado molto avanzato, di un certo modo cristiano cattolico di intendere il cristianesimo e di viverlo, che, se si dovesse definire in forma puramente descrittiva, si dovrebbe definire attivistico e semipelagiano nel suo aspetto teologico. Per sé il cattolicesimo non è questo, ma semipelagiana è gran parte della letteratura dottrinale e dell’azione concreta dei cattolici; cioè un semipelagianesimo accidentale e non sostanziale […]. Il cattolicesimo oggi ha questa colpa: di attribuire all’azione ed all’iniziativa degli uomini rispetto alla Grazia un valore di nove decimi. Esso possiede peraltro un notevole spirito di conquista, una certa generosità, ma, soprattutto nella gerarchia, si riscontra una fondamentale mancanza di fede operante. […]Tutti i fermenti che oggi esistono, come esistevano ai tempi della Riforma protestante, dimostrano che la Chiesa non entrerà mai definitivamente in crisi; essi però non hanno un valore globale tale da fermare lo sviluppo della decadenza della Chiesa e la diminuzione della sua capacità di incidenza storica. Da ciò dipende la mia scelta che consiste nell’impostare il resto della mia vita nel senso di fare uno sforzo fondamentale di correzione di questi abiti attivistici […]. Non mi interessa, in parte di fatto e in parte perché non voglio che mi interessi, il risultato che può uscire dalla mia azione. La mia scelta, quando sono più vicino a Dio, è di realizzare un certo modo di vivere. Se si aggiunge qualche risultato esso non è voluto e non mi interessa, neanche se serve alla Chiesa; ciò che conta è il grado di fedeltà […]. Il modo più proprio di azione nella Chiesa è questo, che, proprio se non voluto per sé, è massimamente efficace. I tempi, i momenti della massima efficacia nella storia del cristianesimo, corrispondono ai periodi in cui si è scelto questo genere di posizione. Le grandi conquiste cristiane corrispondono a momenti di questo tipo, tutto quanto è venuto dopo non è stato che surrogato. Ha fatto più s. Antonio nel deserto che non tutte le milizie attive e semiattive del suo tempo […]. Sono convinto che devo seminare e non mietere, non preoccuparmi del risultato, né di mietere, ma vivere di fede.