Le conseguenze del discorso di Jimmy Carter hanno degli echi che si riverberano sia nel campo degli studiosi, sia nel campo delle istituzioni o organizzazioni dedicate alla memoria dello sterminio degli ebrei.

Per quanto riguarda il campo degli studiosi, si possono individuare almeno due posizioni al suo interno, che propendono a favore dell’uno o dell’altro termine. In particolare, si distingue la posizione pro-Holocaust di Simon Wiesenthal e quella pro-Shoah di Elie Wiesel. La posizione di Simon Wiesenthal (che fa comprendere oltre ai sei milioni di vittime ebree tutte le vittime del nazismo) contribuisce a far emergere dalla distruzione nazista genocidiaria la specificità dello sterminio ebraico. L’approccio di Simon Wiesenthal consente dunque la paragonabilità del genocidio degli ebrei. Questo vuol dire che esso si può confrontare con i genocidi precedenti (per approfondire segui il kit di Pars sul genocidio degli armeni. Vai al kit...) o con quelli successivi (ad esempio col genocidio di Srebrenica).

Per approfondire si rimanda sopra a Levi e Sznaider …

La posizione di Elie Wiesel invece tende a non inglobare i 6 milioni di ebrei negli 11 milioni a cui Jimmy Carter fa riferimento nel suo discorso del 1979. Si distanzia dalla posizione di Jimmy Carter e sposa l’accezione di shoah più stretta. La stessa accezione si ritrova nel documentario Shoah del 1982 di Claude Lanzmann che restituisce al termine la sua peculiarità di unicità senza precedenti. Ciò avviene affidandosi proprio all’incomprensibilità della sillabazione delle lettere ebraiche ש ו א ה. Se lo sceneggiato film Holocaust contribuisce a partire dal 1978 a favorire l’uso negli ambienti anglofoni dell’espressione olocausto, il termine shoah si afferma nel contesto europeo e soprattutto francese a cominciare dal documentario Shoah del 1982 di Claude Lanzmann, come indica Ivelise Perniola nel saggio Per una figurazione della Shoah, contenuto nel volume L'immagine spezzata. Il cinema di Claude Lanzmann.

 

Claude Lanzmann lavora alla preparazione di Shoah per undici anni; anni impiegati nella ricerca dei sopravvissuti allo sterminio ebraico, dei testimoni polacchi, con il loro radicato e persistente antisemitismo, degli ex-nazisti, ancora arroccati sulle loro posizioni di autodifesa e di ottuso alibismo; anni trascorsi alla ricerca di una forma, di una chiave che permettesse alle innumerevoli testimonianze raccolte di trasformarsi in qualcosa di vivo, di forte, rompendo con energia la parete divisoria del passato, dietro la quale l’opinione pubblica aveva confinato la tragedia storica della Shoah, una tragedia da ricordare, da commemorare, ma da tenere a debita distanza; anni vissuti tra incertezze e ripensamenti, testimoniati dai numerosi interventi che il regista ha rilasciato a seguito dell’uscita del film e che rendono questa opera tanto più preziosa, proprio perché realizzata con umiltà e con fatica, con impegno e con totale abnegazione.

 

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