I macedoni, subentrati agli sconfitti persiani di Dario III sotto la guida di Alessandro Magno, governeranno in Giudea dal 332 a.C. Gli ebrei manterranno il proprio carattere nazionale, dapprima, come insegna il Talmud, resistendo alle lusinghe cosmopolite tipiche di Alessandro, che favorì persino matrimoni misti come strumento di governo imperiale. Poi, alla pressione militare di Antioco, ricordata nella festività di Hanukkà, che si apre il 25 del mese ebraico di kislev. Sarà così anche dopo la catastrofe del 70 d.C., quando i nuovi dominatori romani, dopo un assedio durato due anni, espugneranno Gerusalemme ed il Rabbino Yohannan ben Zakkay ottenne da Vespasiano il mantenimento della Yeshivà (scuola rabbinica) di Yavne. Il centro nazionale si dissolve ancora una volta, ma la seconda alleanza stabilita da Geremia permetterà di conservare l’identità ebraica. Yohannan, a cui la storiografia biblica ed evangelica attribuirà le identità più disparate, insegnerà ai propri discepoli che i sacrifici sono sostituti dalle mitzwòt, i 613 precetti che orientano la vita di ogni ebreo osservante. È l’inizio di duemila anni di diaspora, che si concluderà solo il 14 maggio 1948 con la fondazione dello Stato di Israele moderno proclamata da Ben Gurion nell’Hotel di Tel Aviv.